Loris, MafiaCapitale, Brega Massone: scacco all’informazione in tre mosse

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sartreDi Marco Di Salvo

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Ci torniamo, forse perché siamo noiosi. O, forse, perché ogni giorno di più vediamo il configurarsi di una narrazione informativa che poco ci piace e che, nel nostro piccolo, vorremmo avversare. Un’informazione che poco ha a che fare con i principi e le regole che (una volta?) permeavano questa professione che, è sempre più evidente, con la perdita di valore economico per i suoi operatori perde anche valore etico nel suo esercitarsi.
In breve, in questi ultimi giorni si sono affastellate due vicende grandi e una più piccola, ma non meno rilevante per i protagonisti. Nelle due vicende grandi, quella del fanciullo ucciso e quella dello scandalo romano, abbiamo visto dispiegarsi il meglio (peggio) dell’approssimazione informativa al servizio dell’esclusiva. Un coro ininterrotto di rivelazioni (spesso smentite, ma si sa il valore che ha una smentita nel bailamme delle allnews odierne) che servono solo ad alimentare la confusione.
Uno studioso americano, Nate Silver, poco più di un anno fa ha dato alle stampe un volume, “Il segnale e il rumore”, nella cui introduzione ad un certo punto scriveva: <<“Gli uomini possono interpretare le cose a modo loro, interamente contrario al significato delle cose stesse”, ci avverte Shakespeare attraverso la voce di Cicerone, un buon consiglio per chiunque avesse voluto cercare di trarre vantaggio da quella nuova ricchezza di informazioni. Ma era difficile distinguere il segnale dall’interferenza, dal rumore di fondo. La storia che le informazioni ci raccontano spesso è proprio quella che vorremmo ascoltare e di solito facciamo anche in modo che abbia un lieto fine.>>
Ecco, in queste vicende odierne è, a nostro avviso, difficilissimo distinguere il segnale (ovvero l’informazione) dal rumore di fondo (il chiacchiericcio indistinto, basato sui si dice e sulle parole messe a casaccio, per rinforzare tesi precostituite). In più, rispetto al passato, il rumore monta come un’onda cavalcando le praterie del web e dei social network per poi tornare sui mezzi di informazione come ancora più validato da questo circuito drogato. Si è passati nel giro di tre generazioni da “l’ho letto sul giornale” a “l’ho letto su Facebook”, passando per “l’ha detto la tv (o la radio)”, in un percorso di sempre minor valore intrinseco legato all’emittente del segnale.
Eh già, perché il passaggio dalle redazioni giornalistiche di carta stampata e altri mezzi di comunicazione di massa era (almeno fino a qualche tempo fa) un filtro a garanzia della ripulitura del segnale dal rumore di fondo, oggi questo uso smodato di altre fonti di informazione (anche da parte dei giornalisti) rende tutto indistinguibile. Così finisce di fatto la funzione di garanzia del ruolo dell’informatore professionale e tutto finisce nel chiacchiericcio.
Ma c’è un’altra vicenda, come dicevamo, forse più piccola ma non meno importante. Anche qui la storia in breve: nei prossimi giorni Rai 3 trasmetterà un docufilm (si chiamano così i documentari “narrativi”, in cui è lasciato spazio anche all’interpretazione dei registi e degli autori di vicende storiche) su una vicenda, quella della clinica Santa Rita e del suo protagonista in primis, Pierpaolo Brega Massone. Qual è il problema, vi chiederete voi? Un’inezia, visti i tempi. Il docufilm va in onda a processo ancora in via di svolgimento, in assenza di condanne definitive, e con una corte di appello che solo l’anno prossimo dovrà giudicare (con giuria popolare, da scegliere magari tra gli spettatori del docufilm) sulla vicenda. Per inciso, Brega Massone, arrestato il 9 giugno 2008 per una serie di accuse che vanno dall’omicidio plurimo alla truffa al falso, è da allora in carcere malgrado non sia stata ancora pronunciata una sentenza definitiva in nessuno dei due processi che lo vedono imputato, è stato finora condannato in primo e secondo grado.

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Ora proiettate questa “piccola” vicenda su uno scenario più grande e forse si rintraccia un disegno che così piccolo non è. Il disegno di un paese a caccia spasmodica di colpevoli, che è disposto a raccontarsi storie per autoassolversi, costruendo a soggetto una verità che lo conforti. E che gli permetta di affermare, come un Sartre d’annata che “l’inferno sono gli altri”.

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